Ciò che da sempre mi colpisce di Luigi Caldararo è la sua disponibilità verso gli amici,oltre alla voglia di impegno sociale che lo ha portato a lavorare con dedizione nella scuola e soprattutto a sperimentare per gli studenti delle forme di cinematografia tendenti ad aprire i giovani a nuove forme di racconto. La particolarità di quest’uomo innamorato dei colori la cogli se solo lo segui nelle sue campagne di Tursi, alla confluenza con la Sinnica. Lo vidi una volta arrampicato sugli agrumi,intento a raccogliere una varietà che da quelle parti chiamano Staccia e che presenta una buccia spessa ma un sapore agrodolce che neppure hanno i tarocchi. La Staccia non è amata dal nostro mercato,forse perché fa spavento la qualità della buccia,ma come sempre, bisogna andare sotto la pelle per cogliere la bontà nascosta. Quando Luigi lesse i Fuochi del Basento ne rimase così colpito da preparare una serie di opere illustrative ed esplicative di grande pregio tonale e formale. Presentammo la personale su,a Terranova di Pollino,ricordo che quel giorno venne da Matera Giovanni Caserta,da Policoro salì Franco Roseto e fu davvero una giornata bellissima,perché Luigi aveva ben rappresentato il mondo lucano in uno dei suoi momenti più epici,aveva identificato in me il protagonista del romanzo,Francesco Nigro,ma si era lasciato andare al colore,al divisionismo neocubista che in qualche modo chiamava in gioco l’arte del fumetto e il frazionamento prodotto nei colori dalla moderna spettroscopia,la frantumazione elettronica. In quella circostanza Luigi si autorappresentava nei panni di Tommaso Bindi,l’intellettuale melfitano che ai primi dell’800 si era lasciato permeare dalla cultura socialista di Luois Blanc e che per queste teorie finì in prigione a Potenza. Dovendo raccontare di una fantomatica visita in Basilicata di Ernest Hemingway,pensai qualche anno fa di fargli attraversare la silenziosa landa dei calanchi dopo la visita alle Dolomiti lucane e ai monti del Carmine. E chi meglio di Caldararo poteva fargli da guida? Luigi io lo immaginai com’era, un pittore originario di Tursi ma in più appassionato di caccia. Un uomo antico che aveva avvistato sul Sinni un mammut e del quale dava delucidazioni allo scrittore americano. Ricordo che eravamo sotto Natale quando Luigi mi telefonò, aveva letto il mio romanzo breve da poco e ne era rimasto commosso. Disse che era il più bel regalo di Natale che gli fosse stato fatto. E dalla lettura nacque in lui la voglia di descrivere e di illustrare Fernanda e gli elefanti bianchi di Hemingway . Come si sarà trovato a suo agio nel radunare insieme creature lontane quali Carlo Levi,Mario Trufelli e Vito Riviello e lo stesso autore del breve romanzo e Manlio Rossi Doria e De Martino. La grande tradizione letteraria novecentesca era tutta lì,in quel viaggio improbabile tra gli elefanti arcaici lucani. Gli elefanti che erano probabilmente la stessa Tursi,tutto un mondo sgarrupato di sassi e di calce quale si coglie nella Rabatana. Gli elefanti che sono il mondo perduto della Lucania centrale, il paese dei boschi e delle montagne dove si nascondevano fino a pochi anni orsono le fattucchiere e le mille formule che la medicina popolare ha utilizzato per proteggere e combattere la fascinazione e il malocchio. Gli elementi magici di Sud e Magia sono tutti nella raffigurazione pittorica di Luigi. Come sono i personaggi che hanno attraversato la prima metà del Novecento lucano. Ed è di questa doppia dimensione che la personale del pittore tursitano oggi ci parla,della cultura arcaica e legnosa,della dialettalità dell’Agri e della mitologia illuminista e antropologica lucana. C’è come sempre la festosità cromatica nella sua tavolozza frammentata in un caleidoscopio di piccoli spicchi colorati,il cubismo separatista,ma anche la pensosità memoriale e la capacità di riunire il tutto in un fotogramma dilatato. Il citazionismo di Luigi fa pensare agli strappi di Rotella ma anche a Carlo Levi,del quale non condivide la luttuosità,la malinconia. Luigi è un uomo che viene dopo,viene al tempo della scolarizzazione di massa,viene dopo la Riforma Agraria e nel tempo in cui la diffusione della cultura ci permette di vedere le nuove generazioni tutte oltre la soglia dell’università e di farci riflettere sul tempo che è stato,sugli anni difficili in cui la denuncia era l’unica arma possibile affidata agli intellettuali. Un’alba nuova leggi nelle tele di Caldararo,la stessa che ci ha preannunciato Scotellaro. Un’alba che nasce alla fine dell’era dei mammut e quando alla poesia del silenzio si è sostituita ormai la speranza,per quanto massificante, della cultura borghese.